giovedì 20 agosto 2020

Lettera semiseria da un ospedale

Ho 46 anni, e fino a maggio di quest’anno ho avuto la fortuna di poter considerare la mia salute come una commodity, ovvero darla per scontata: un po’ come l’elettricità, o in tempi più recenti, la connessione internet a banda larga. Negli ultimi tre mesi ho avuto qualche problema di salute, che mi ha portato a due operazioni (di cui una particolarmente tosta): non amo parlare sui social dei fatti miei, sappiate che per fortuna tutto è andato bene. Però, sulla scorta di 4 ricoveri al Policlinico di Milano e del fatto che fosse la prima volta per me, ho scritto queste riflessioni che condivido con voi.
  1. Il tuo nome cognome e data di nascita: mai come in un ospedale ti chiamano così tante volte (o ti chiedono come ti chiami), pur avendo un braccialettino grazioso che riporta fedelmente gli stessi dati della carta di identità (oddio, una volta il nome sul mio braccialetto è stato scritto sbagliato: ma che volete che sia quando si sta entrando in sala operatoria!). Diventa una filastrocca che ripeti continuamente, ad ogni cambio di turno degli infermieri che ti danno l’antidolorifico, ad ogni visita che fai, anche quando ti svegliano la notte per misurare febbre e pressione. Se poi sei di gran lunga il più giovane del reparto, succede anche che tutto il personale medico e paramedico tendenzialmente ti darà del tu, forse anche per darti la sensazione che, in fondo, siamo tutti sulla stessa barca.
  2. L’ospedale è un po’ come un aeroporto (ovvero l’”effetto Tom Hanks”): un luogo dove devi abituarti ad aspettare. Frequentandolo per qualche tempo, riconosci diverse tipologie di persone, nelle numerose attese che ti portano a fare internamente TAC, visite ecc. Quelli che ritengono di essere lì per caso: guardano nervosamente l’orologio o il telefonino, fanno battutine alle infermiere che passano (che abituate non gli danno retta), si aspettano che il tempo e gli orari vengano rispettati. Ma in ospedale non è mai così: i minuti sono mezzore, le ore sono mezze giornate. La seconda categoria infatti sono gli habitué, le persone in cui ti trasformi gradualmente frequentando queste candide sale d’attesa: possono essere rilassati, se hanno la fortuna di essere habitué ma di passaggio (visite di controllo, o piccoli interventi), oppure pensierosi, quando probabilmente questa attesa è solo un’anticamera all’anticamera di altre e ben più penose attese. È umano fare questo percorso, e partire dalla prima tipologia per poi ritrovarsi tra gli habitué senza che te ne accorgi. E a quel punto guardi di sguincio quelli lì per caso e pensi: ce n’hai ancora da aspettare, caro mio.
  3. Credo che il cellulare abbia cambiato tutto il nostro modo di vivere, ma in ospedale (Dove teoricamente l’utilizzo sarebbe vietato) permette di far passare le giornate. Specie quando, come in periodo di Coronavirus, l’accesso a chiuque ti voglia venire a trovare, è sbarrato. Il cellulare infatti ha soppiantato completamente il TG1 o il TG5, che resistono sparuti in alcune camere di ottuagenari col sonno pesante, mentre ovunque i pazienti passano ore al telefono a scherzare con amici e parenti sull’immancabile puré o la pasta scotta. Ecco, però specie quando sei appena stato operato, il cellulare significa anche dover rispondere a centinaia (letteralmente) di messaggi di amici e parenti che vogliono sapere se la voce è tornata, se riesci a muovere la spalla eccetera. E allora, sia lodata la funzione copia e incolla che, anche se non ci vedi ancora bene e senti un male boia, ti salva la coscienza che hai avvisato proprio tutti.
  4. Anestesie: non essendo mai stato operato prima, non avevo mai provato l’esperienza dell’anestesia totale. 8 ore di black out, in cui non ti accorgi neppure che ti stai addormentando. La prima volta ricordo che stavo parlando, e poi puf: son le 4 di pomeriggio e ho un taglio sotto la gola. Allora la seconda volta ho pensato: adesso ci sto attento e voglio capire esattamente come funziona questa cosa. Sono lì che sto parlando ma ancora i ricordi si interrompono e mi portano già al risveglio sotto la copertina riscaldata come se si fosse interrotto il nastro della VHS all’improvviso. Questo veramente è un grosso mistero. Mi rendo conto poi che la paura di un’operazione stia tutta qua, nel non avere minimamente controllo di quanto ti sta per succedere: un po’ come quando fai paracadutismo, ti devi semplicemente fidare (forse questo è il motivo per cui non faccio paracadutismo).
  5. Vestitini: ah, l’ultima riflessione che volevo condividere è che tutto sommato l’ospedale è rimasto un posto molto democratico, un po’ come i vecchi collegi delle nostre nonne. Ci sono solo due categorie di vestiti: i pigiamoni o le vestaglie dell’OVS, per tutti i pazienti (la vestaglia a dire il vero va più con le signore di una certa età), e i càmici monocolore, ma molto sgargianti in alcuni casi, per il personale medico e paramedico. Io ancora non ho capito bene come mai alcuni  di loro abbiano delle tutone color rosso acceso oppure viola, e in apparenza facciano le stesse cose di quelli bianchi o verdi. E poi per tutti gli operandi, ci sono quei vestitini che io avevo visto solo in Medical Dimension: un vestaglia bianca a pallini, aperta dietro, con due nastri che puoi chiudere dietro e i buchi per infilare le braccia. Pensavo si sarebbe sporcato di sangue ma l’ho sempre vista  pulita. Si vede che la lavano prima di risvegliare il paziente.
  6. Cose strane che ti fanno un po’ temere di non essere proprio al sicuro: quella del braccialetto sbagliato ve l’ho già detta, ma per fortuna ci vedo benissimo ancora e me ne sono accorto. L’altra è il fatto che per prassi quando ti devono, come nel mio caso, operare al torace, la sera prima ti fanno una X con un pennarello nero sul lato in cui ti devono operare. “ma non c’è scritto nella cartella?” “sì ma comunque è la prassi. Mi raccomando non si lavi da questa parte che sennò la croce va via”.

E allora, concludendo, rassicuro ancora tutti che sto bene e che al momento non è previsto un altro soggiorno presso il Policlinico: se dovesse succedere comunque, non dovranno mancare il pigiamino OVS, le ciabatte e soprattutto il caricabatterie del cellulare.

Tra i gadget citati: vestitino per l'operazione, cellulare e braccialetto per il riconoscimento

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